Tassa sugli extraprofitti, Sud penalizzato

La tassazione degli extraprofitti di banche e imprese come misura di equità sociale non sembra essere la soluzione migliore per reperire risorse finanziarie. L’intervento, così come finora immaginato dal Governo, è da molti considerato una sorta di “prelievo forzoso” perché colpisce una voce dei ricavi (il margine di interesse) più che i puri extra profitti, e presenta più in generale numerosi rischi ed effetti potenzialmente distorsivi per il sistema economico, al di là dei rischi di incostituzionalità o di prevedibili ricorsi già da più parti evidenziati.
La prima questione da analizzare è in termini di definizione: ha senso parlare di “extra” profitti? Fino a quale punto il profitto può essere ragionevolmente considerato “ordinario”, e da quale punto in poi diventa subito dopo “straordinario”, e quindi “meritevole” di essere tassato in maniera aggiuntiva? Come individuare in maniera oggettiva ed equilibrata il limite fra il profitto “derivante da adeguate capacità gestionali” e quello “ingiusto e immeritato”, ammesso che ci sia una definizione chiara e oggettiva per questi ultimi termini?
Ancora: ha senso – e soprattutto è utile? – “disincentivare” il raggiungimento e superamento di un risultato positivo come il profitto, obiettivo necessario per la sopravvivenza di un’impresa (qual è in ogni caso anche una banca) e fonte di sviluppo del sistema economico generale, con una ulteriore tassazione che al di là dei giusti contributi di solidarietà e dei criteri di progressività della tassazione in base alla capacità contributiva, sembra quasi avere un carattere punitivo? Moltissimi imprenditori in questo caso non potrebbero più contare sul libero mercato per generare profitti secondo le proprie capacità di organizzazione dei fattori di produzione e degli investimenti e di assunzione dei rischi imprenditoriali. Sarebbe invece piuttosto lo Stato ad avere sempre e in qualsiasi momento lo scettro del comando, con il diritto di individuare il livello di volta in volta “ragionevole” di profitto appropriandosi della differenza in eccesso sotto forma di tassazione.
Sulla testa delle imprese graverebbe una spada di Damocle pronta a colpire in modo punitivo le attività che hanno avuto “il torto” di realizzare performance superiori alla media. In tutti i casi ci troviamo di fronte a distorsioni del mercato verso la correzione delle quali dovrebbe opportunamente indirizzarsi l’intervento pubblico, anziché puntare all’introduzione di misure fiscali straordinarie che rischiano di diventare una componente ordinaria del sistema.
Gli extraprofitti sono di diversa natura e molto eterogenei per settore e momento di provenienza, difficili da tassare in maniera generale e al tempo stesso equilibrata. In particolare, per quanto riguarda le banche, la possibilità (e quindi l’aspettativa) che questo tipo di tassazione una tantum possa essere riproposta anche in futuro, fa sì che la nuova tassa sia già oggi in grado di disincentivare le banche dall’offrire credito.